Lavorare con bambini e bambine è un privilegio di pura poesia. Un occhio attento che osservi senza giudizio può beneficiare della possibilità di vedere dispiegarsi davanti a sé quotidiane azioni piene di saggezza e coraggio senza limiti, compiute in modo così naturale da lasciarti spiazzato e farti sentire molto piccolo, minuscolo.
Tra bambini e bambine ho visto agire molte azioni virtuose ed una che in questi giorni mi è tornata in mente, ora ve la racconto.
L’azione virtuosa di cui voglio parlare è stata compiuta da Arianna, una mia alunna, che al tempo aveva otto anni.
Un giorno di un paio d’anni fa, osservo le dinamiche nate dal gioco libero durante la lunga merenda, vedo gruppetti formarsi. Vedo da lontano Arianna e le sue amiche che gonfiano il petto affrontando un gruppo di maschi, osservo i maschi mettersi sulle punte dei piedi per alzarsi sopra le teste delle femmine, grandi draghi sputafuoco sopra piccole cavaliere determinate.
Sento la rabbia delle femmine crescere, la vedo chiaramente anche se sono lontana. I maschi, orgogliosi, ridono di loro qualche attimo, quasi subito tornano a perdersi in qualche altro gioco immediatamente più interessante.
Scorgo qualche lucente lacrima impossibile da trattenere sul viso dell’amica di Arianna, non intervengo, osservo e registro questi momenti nei cassetti della mia memoria, con l’intenzione di appuntarmeli non appena rientro in classe.
Chiamo bambini e bambine e lentamente ci avviamo verso la nostra aula. Affino l’udito, cerco di cogliere qualche spezzone di discorso alle mie spalle, percepisco che la discussione a cui avevo assistito da lontano non è terminata, anzi è ripresa con più fervore. Non guardo perché non voglio che bambine e bambini si sentano influenzati dal mio sguardo su di loro.
Il gruppo di femmine si è riunito, sento Arianna che dice alla sua amica:
“Dillo alla maestra!”
“Sssshhh!”
“Glielo devi dire!”
“No”.
“Ma glielo devi dire!”
“NO-O.”
Entriamo in classe, mi avvicino alla bambina che avevo visto trattenere le lacrime, le dico di aver visto la discussione da lontano, le chiedo se ha bisogno di aiuto. “No” mi risponde, “è tutto ok”, ed Arianna dietro “Glielo devi dire!”. Chiedo se hanno bisogno di dirmi qualcosa, dico che le vedo stare male e che posso provare ad aiutarle se hanno bisogno. “NO-O”.
“Maestra è successa una cosa brutta, ma lei non te la vuole dire” mi risponde Arianna.
Poi Arianna mi racconta che durante la merenda la sua amica era stata esclusa da un gioco per cui era stata inventata una regola ad hoc che le impediva di partecipare e che questo era un’ingiustizia perché non è giusto inventare delle regole a gioco iniziato con il solo scopo di escludere qualcuno, ciò non è corretto.
Arianna aveva sentito ed era intervenuta perché l’impulso di farlo era più forte della sua forze di volontà di non litigare. La sua amica si scioglie, scoppia a piangere, ringrazia Arianna dicendole che non sarebbe riuscita a dire tutto da sola.
Arianna risponde con fermezza che non deve mai avere paura di difendersi e di raccontare quello che era successo visto che il gruppo di maschi in quel caso a merenda non aveva nessun diritto di trattarla male o di escluderla senza dare una spiegazione valida.
Io ed il resto della classe ascoltiamo tutto con attenzione percependo forte la potenza delle parole e degli intenti di Arianna. Mi guardo intorno e capisco che forse non sono l’unica stupita da quanto successo, infatti lei di solito è molto silenziosa .
Io vorrei in quel momento essere un po’ più come lei e un po’ meno come me.
Alla fine della giornata mi avvicino ad Arianna e la ringrazio per aver tirato fuori il coraggio di fare quello che aveva fatto.
Lei alzando le spalle mi risponde “L’ho fatto perché era la cosa giusta da fare” e si reimmerge sorridente nelle chiacchiere con la vicina di banco.
Illustrazione di Lana Marandina